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Report, Bresaola, allevamenti intensivi e gli Zebù (che non sono Zebre)

Nella recente trasmissione di Report, Siamo nella ca…, si è parlato degli allevamenti intensivi in pianura Padana, indicandoli come i principali responsabili dell’inquinamento e della diffusione del COVID19. Ci hanno anche raccontato del “problema” Bresaola, una produzione caratteristica IGP Italiana, della Valtellina, notoriamente fatta con carne di Zebù importata dal Brasile. Quale relazione c’è tra le due denunce?

Dimentichiamo per un attimo l’assurdità di aver incriminato la zootecnia come colpevole di pandemia e guardiamo le cose da un altro punto di vista. Premesso che gli Zebù sono bovini e non simil Zebre, come ha sostenuto un imbarazzato Ettore Prandini  , noto che  troppe persone si sono indignate, sia perché la Bresaola è fatta in Brasile con carne bovina da animali allevati su praterie rubate alla foresta amazzonica,  sia per gli allevamenti bovini intensivi padani.

Nessuno ha capito il tranello di questa doppia denuncia, riassumibile nel famoso detto di volere la botte piena e la moglie ubriaca. Nel senso che, a voler ben guardare le immagini trasmesse nel servizio di Report, gli Zebù erano allevati in immense praterie, mangiavano esclusivamente erba, quindi erano sanissimi. L’ondata d’indignazione non ha fatto cogliere ai più, che questi bovini sono allevati esattamente nel modo invocato dagli stessi per i bovini padani. Nessuno si è accorto della bontà dell’allevamento degli Zebù, troppo occupati a scandalizzarsi perchè erano di proprietà di gran di multinazionali e la carne finiva in prelibatezze tutte italiane. Nessuno a chiedersi il vero significato, solo un tantino più profondo, delle immagini che scorrevano.

Il ruolo del giornalista è andare oltre le apparenze

La sostanza è che il servizio metteva in cattiva luce due eccellenze lombarde, senza andare oltre le apparenze. Ma un buon giornalista avrebbe avuto il dovere di farlo! Scavando appena un po’ nei fatti, si poteva facilmente scoprire che gli allevamenti lombardi sono intensivi, ma non lo sono sempre stati. Sono diventati tali a causa di un prezzo del latte e della carne fermo nominalmente  (trasformato in Euro dalle allora Lire) ai primi anni 90 del secolo scorso. Stiamo parlando di un prezzo fermo su per giù da 30 anni. Questo forse è il vero scandalo, non Le pare caro Ranucci?

La situazione da fame degli allevatori lombardi

Bastava poco per mettere a confronto l’andamento decennale del prezzo al consumo del latte e quello riconosciuto agli allevatori. Si poteva così evidenziare che il primo è raddoppiato negli ultimi 30 anni, mentre il secondo, quello che paga il produttore, è rimasto fermo al palo.

 

La scienza economica insegna il principio dell’economia di scala: è il fenomeno di riduzione del costo medio che si verifica al crescere della quantità della produzione e della dimensione di un’impresa. Nella fattispecie dell’impresa zootecnica, schiacciata dalle regole del mercato, questo si traduce nel cercare di mantenere un minimo di margine per il produttore, aumentando il quantitativo di vacche allevate e quindi di latte prodotto. Infatti gli allevamenti sopravvissuti in Lombardia, regione con il 45% della produzione di latte italiano, si è concentrato in relativamente poche realtà produttive. Tutto ciò, l’ha voluto il mercato e nessuno si è opposto, nemmeno Prandini….

Quindi qual’è la relazione tra lo Zebù, la Bresaola e gli allevamenti intensivi?

Semplice, i trasformatori di carne di Zebù in ottima Bresaola comprano la carne dal Brasile, perché costa meno di quella italiana, o della Valtellina, posto che qui ce ne sia ancora a disposizione. Gli allevatori di latte lombardi a causa della tirannia dello stesso mercato, se vogliono sopravvivere, devono investire milioni in strutture, tirare la cinghia e aumentare i capi in produzione. E’ bello e molto bucolico vedere i bovini al pascolo, che mangiano solo erba e producono letame, ma il mercato è disposto a riconoscere un prezzo doppio di quello attuale al produttore? I consumatori che si sono scandalizzati di quello che hanno visto nella trasmissione di Report, sarebbero realmente disponibili a pagare il latte  mezzo euro in più al litro, o un chilogrammo di Grana 6 euro in più al chilo?

Forse le storie andrebbero raccontate tutte fino in fondo, approfondite e non solo a metà, senza pensare che facendo così, si danneggia impunemente una categoria di lavoratori! Forse sarebbe utile un maggior realismo da chi vuole la luna, cioè un mondo incontaminato e poi va a fare la spesa al supermercato e compra sanissimo, si fa per dire, “latte” di soia, prodotto a migliaia di chilometri di distanza, con lavoratori vergognosamente sfruttati.

 

Fausto Cavalli

dott. Agronomo, Agrometeorologo, studioso di clima, meteorologia ed economia.