Le istituzioni europee, o, meglio, una oligarchia autoreferenziale non eletta da nessuno e pertanto in contrasto con i più elementari principi di democrazia, stanno sempre più attivando meccanismi automatici, col fine apparente di puntellare l’insostenibilità dell’euro. Ciò determina sempre più l’espropriazione delle rispettive Sovranità degli Stati membri, sia in termini di politica economica, ma anche delle stesse identità dei rispettivi Paesi. La costruzione monetaria europea ha dimostrato negli anni l’impossibilità di supportare le differenze fra le economie dei Paesi membri. L’adeguamento a un modello economico, i cui dogmi sono sintetizzati nella stabilità dei prezzi, nell’ossessivo contenimento dell’inflazione, nel rigore dei conti e nel pareggio di bilancio come presupposto per la crescita, hanno fatto letteralmente sprofondare le economie continentali in una crisi economica paragonabile solo a quella del ’29. La realtà è che l’euro non è una moneta sovrana, ma un accordo di cambi fissi, regolato da stretti vincoli macroeconomici sanciti dai Trattati, senza quindi uno Stato sottostante che ne determini i normali e logici aggiustamenti congiunturali. Ne consegue che l’euro è l’unica moneta mondiale alla cui rigidità deve adeguarsi l’economia reale e non viceversa, come dovrebbe logicamente essere.
I meccanismi realizzati in quest’ottica sono il FESF, il MES, l’Unione Bancaria e il Fiscal Compact e servono per “blindare” il rispetto delle regole a supporto della moneta unica e pertanto la sua stessa sopravvivenza. Le suddette regole non permettono spazi interpretativi né la possibilità di flessibilità per gli Stati, i quali sarebbero costretti, “loro malgrado”, a darne piena esecuzione. Così, ad esempio, il Trattato sulla Stabilità (Fiscal Compact) prevede il pareggio di bilancio strutturale e la diminuzione pianificata in vent’anni dell’eccedenza del surplus del rapporto debito pubblico PIL rispetto al parametro del 60%. Pertanto gli Stati, per soddisfare questi fabbisogni finanziari, dovremo far ricorso esclusivamente a tagli della spesa pubblica e/o alla leva fiscale a carico delle famiglie e delle imprese. Nel caso dell’Italia è del tutto evidente che la misura sia da tempo colma, essendo noto che la spesa primaria italiana, cioè al netto degli interessi corrisposti sul debito, risulta inferiore alla spesa sostenuta dalla media dei Paesi dell’eurozona e per fino minore a quella di paesi come la Francia, Finlandia, Austria, Belgio, Germania e Olanda (dati ufficiali AMECO). Così, il futuro reperimento di fabbisogni finanziari sarà soddisfatto dalla leva fiscale, cioè dalle tasse, con ulteriore avvitamento al ribasso della nostra economia.
L’affermazione oramai apparentemente condivisa da tutti, Governo e media, cioè che i problemi italiani di natura finanziaria risiedano nell’eccesso della spesa pubblica paiono del tutto errati e chi persegue questa convinzione lo fa, o per ignoranza o per distogliere l’opinione pubblica dalla realtà delle cose. Il fatto che poi esistano mostruosi sprechi in molti capitoli della spesa pubblica (lavori pubblici, TAV, ecc.) è fuori dubbio, ma la loro eventuale correzione dovrebbe permettere di riallocare le spese in altrettanti capitoli di spesa, attualmente sotto finanziati (istruzione, manutenzione del territorio, ecc.), senza nulla modificare i saldi finali.
Le regole fissate nel Fiscal Compact ed in base ai dati economici previsionali da parte del FMI, prevedono che nel solo 2015 il nostro Paese dovrebbe reperire risorse aggiuntive fra i 38 e i 40Mld di euro, tramite, quindi, reale aumento delle tasse, anche se in maniera maldestramente nascosta e negata a parole dalle solite “annunciti” di turno…
La Commissione Europea ha incaricato un comitato di 11 esperti (nessun italiano!), presieduto dall’ex governatrice della banca centrale austriaca Gertrude Trumpel-Gugerell, per individuare un meccanismo che vincoli i Paesi al rispetto automatico della riduzione del debito. Questo Comitato ha recentemente consegnato la proposta, facendo propria quella già ideata dal German Council of Economics Expert (Consiglio dei Saggi tedesco), che prevedeva la costituzione di un Fondo Europeo di Redenzione, ovvero l’ERF, acronimo di European Redemption Fund. Gli esperti incaricati da Bruxelles hanno concepito questo Fondo in modo che vincoli tutti gli Stati aderenti a conferire le eccedenze delle porzioni di debito superiori al 60% del PIL. A sua volta il Fondo, per finanziarsi e tramutare i titoli nazionali con garanzia comune, potrà emettere sul mercato dei capitali degli eurobond. A questa conversione di titoli viene pretesa da parte dello Stato membro la garanzia dell’asservimento dei rispettivi asset patrimoniali nazionali, riserve valutarie e auree e parte del gettito fiscale (es. IVA) a titolo di collaterale. Naturalmente tale asservimento, potrà essere automaticamente liquidato dal Fondo di Redenzione ogni volta che un Paese risulterà inadempiente alla riduzione programmata della quota parte di eccesso di debito. Detto in altra maniera: equivale a firmare “cambiali” in bianco pronte all’incasso con la logica del curatore fallimentare più orientato a soddisfare i diritti del creditore che del debitore! Nel caso in cui un Paese membro non sarà in grado di reperire le risorse necessarie ogni anno e per vent’anni, scatterà la suddetta procedura automatica. Praticamente per quel che ci riguarda l’Italia, le Aziende partecipate pubbliche (ENI, Finmeccanica, Poste, ENEL ecc.), i beni immobiliari pubblici, le riserve auree e valutarie, saranno liquidate automaticamente se non provvederemo in modo autonomo a diminuire di un ventesimo l’anno l’eccedenza del surplus di debito, con il pericolo che queste aziende e patrimoni saranno letteralmente svendute pur di rispettare le assurde regole. Si tratterebbe dell’abdicazione più totale di qualsiasi residuo di Sovranità e saremo depredati di tutto il nostro patrimonio pubblico a prezzi di liquidazione fallimentare, con il concreto rischio che il tutto si traduca in maggiori oneri per le famiglie e le imprese. In sostanza il rispetto del Fiscal Compact significa la totale e irreversibile perdita della nostra sovranità nazionale.
La classe politica italiana, che ha ratificato il Fiscal Compact e inserito scelleratamente nel dettame costituzionale il principio del pareggio di bilancio modificandone l’art.81, è in grado di capire cosa ci attende con l’ERF? Per questi personaggi, che occupano stabilmente ruoli istituzionali, l’appellativo di collaborazionisti, e svenditori del Paese è sin troppo leggero!
Tuttavia questo non è l’unico pericolo all’orizzonte, c’è di peggio; mi riferisco al TTIP (Transatlantic Trade & Investment Partnership) o meglio TAFTA (Transatlantic Free Trade Agreement) cioè il Trattato fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea per poter far nascere la più grande area di libero scambio del mondo, con l’abbattimento dei confini commerciali e soprattutto dei vincoli normativi fra Europa e USA. Da diversi mesi lo stanno negoziando, nella totale e massima segretezza, il Governo americano e la Commissione Europea, nonostante gli effetti potrebbero letteralmente sconvolgere il nostro modo di vivere. Dell’accordo analizziamo solo alcuni aspetti: da quello che si può per ora intuire, oltre alle cosiddette barriere tariffarie, cioè i dazi, saranno interessate anche le barriere non tariffarie, in particolare quelle che riguardano i controlli e gli standard qualitativi richiesti per i generi alimentari, sui brevetti e i copyright, sulla libertà nell’uso di internet e sulla privacy dei consumatori, norme sui prodotti chimici in agricoltura e sui servizi, cioè assicurazioni sulla vita e sanitarie, servizi finanziari, ecc. In considerazione dei livelli estremamente diversi di standard e di comportamenti normativi fra USA e UE, l’accordo andrebbe a discapito dei Paesi come il nostro che, specialmente nel settore agro-alimentare, ha issato controlli e standard qualitativi molto alti. Con questo accordo si aprirebbe la possibilità di libero commercio in questa nuova area di carni di animali trattati con gli ormoni e antibiotici e produzioni alimentari ottenute con l’utilizzo di sementi OGM e la inevitabile perdita della tutela da parte dei prodotti tipici a denominazione d’origine controllata e garantita, capisaldi delle nostre eccellenze alimentari. Ma l’aspetto più sconcertante di questo accordo è l’adozione di Tribunali arbitrali privati per la risoluzione di controversie in caso di contenziosi per il non rispetto delle norme del Trattato TTIP a cui gli stessi Stati dovranno sottostare subordinando la propria legislazione. Pertanto se una azienda (ndr. grande multinazionale…. ) reputasse di essere stata danneggiata da una decisione politica di un Governo, potrebbe appellarsi al Tribunale arbitrale, citando in giudizio lo Stato stesso. Inoltre il Trattato prevede, in caso di risoluzione di uno o più Paesi, il vincolo di rispettarlo comunque e in ogni caso per un periodo di vent’anni, il giusto tempo per rendere irreversibile qualsiasi economia ormai assoggettata profondamente e definitivamente al nuovo sistema introdotto. Si aggiunga a questo quadro già di per sé agghiacciante, che, in considerazione di una maggior forza economica ed elasticità valutaria da parte dell’USA, rispetto ai Paesi europei, agirebbero costantemente sui mercati valutari per favorire in modo ottimale i flussi fra import ed export (svalutazione competitiva del dollaro). Siamo certi, che anche in questo caso, i nostri governanti, dopo il solito annuncio di grande opposizione a questi trattati, faranno esattamente il contrario, spianando la strada alla nostra fine economica.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, è evidente che i diritti tipici della nostra Costituzione democratica, stanno vacillando sotto i colpi di una strategia economica del tutto neoliberista. Quello che emerge è l’instaurazione strisciante ed insidiosa di una vera e propria dittatura economica da parte di grandi gruppi di potere e d’interesse economico, contro la quale l’Italia oppone, si fa per dire… grandi annunci smentiti dai fatti, opportunismi personali, scarso senso dello Stato e asservimento del Governo e della quasi totalità dei media ai dettami di questi poteri.
Fausto Cavalli
Liberamente tratto da un articolo di Antonio Maria Rinaldi