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La scuola della terra

Mentre su Milano Expo 2015 (nutrire il pianeta) si è pensato di farsi sponsorizzare da grandi multinazionali come Coca-Cola e Mc Donald’s, in un lontano paesetto del Cilento, una semplice preside d’istituto elementare ha avuto l’idea, ben più sensata, di promuovere la cultura del cibo quale prodotto strettamente legata all’agricoltura locale ed alla terra. Due proposte molto lontane tra loro, ma quale delle due può davvero nutrire il pianeta? Questa è la storia di colei che è nata nella tristemente nota Terra dei fuochi, dove “ci ribelliamo da molti anni, invisibili agli occhi dei grandi media”, da una famiglia di contadini che ha resistito alle lusinghe della speculazione edilizia e alle minacce della camorra.

Forse è per questo che quando è diventata preside di un istituto di 19 plessi a San Giovanni a Piro (Salerno), Maria de Biase ha cominciato, insieme a docenti, genitori e ragazzi a trasformare la scuola in uno strepitoso laboratorio di autoproduzione e di riciclo, dove coltivare orti sinergici e fare merenda con pane e olio sono azioni quotidiane (vincitrice del Civi Europeum Praemium). Con il racconto dell’esperienza della sua scuola, Maria aderisce alla campagna “Ribellarsi facendo“. Sono stati attivati, fin dal primo anno, laboratori di riciclo, di recupero di vecchi manufatti, di compostaggio domestico, intreccio di salice e ginestra per la costruzione di cestini e oggetti di uso comune, e vero pezzo forte… la costruzione di un orto sinergico! E così disponiamo di tanti orti che coltiviamo insieme ai docenti, alunni e genitori, e gli ortaggi vengono consumati nelle mense dove sono limitati i prodotti surgelati, dove è stato eliminato l’usa e getta, si utilizzano piatti di ceramica, bicchieri di vetro e si beve l’acqua in brocca. In tutte le scuole del plesso vige la pratica dell’Ecomerenda con un calendario settimanale che alterna pane e olio o pane con le verdure dell’orto, con la frutta e con le torte fatte dalle mamme, in modo da impedire di consumare le merendine industriali meno genuine e più ricche di imballaggi. Tutto sano, biologico, autoprodotto o offerto dalle famiglie e nessun rifiuto e niente sprechi. Poiché non lo fa il Comune, la scuola si fa carico per fino della raccolta dell’olio alimentare esausto prodotto dalle famiglie, che viene trasformato in sapone grazie al recupero di antiche ricette locali, con la partecipazione degli anziani del luogo e con il cui ricavato si finanziano le necessità delle famiglie più indigenti. A scuola vengono accolte tutte le proposte che permettono di lavorare sui laboratori centrati sull’ambiente, sulla difesa del territorio, sul recupero delle tradizioni e sull’ecosostenibilità. Si riconosce la sobrietà e la solidarietà come valori da insegnare e praticare a scuola. Qualche anno fa la scuola ha per fino aderito al movimento Transition Town, stimolando tutti a lavorare sui temi del cambiamento e della resilienza. Autoprodurre il proprio cibo insegna agli alunni un nuovo stile di vita che permette di cambiare radicalmente approccio all’alimentazione, alla salute, al benessere. Coltivare la terra, a scuola, favorisce l’acquisizione di una consapevolezza verso attività connesse al cambiamento, riposizionando la figura del contadino che abbandona l’immagine di povertà e di arretratezza e riconquista dignità con le sue competenze culturali, formative, sociali e tecnologiche. Prendendosi cura dell’orto sinergico ci si prende cura anche di se stessi e degli altri, in totale comunione, con effetti positivi, poiché esso è la metafora dello stare insieme. Curare l’orto insegna agli alunni modalità virtuose da trasmettere e diffondere agli adulti e alla cittadinanza locale. Li aiuta a superare lo sterile schematismo dei saperi preconfezionati in favore di apprendimenti dotati di senso e di efficacia. Gli alunni e i docenti scoprono e recuperano: l’aiuto reciproco, la condivisione, la solidarietà, l’apprendere con allegria e applicare, quanto osservato in natura, alle personali relazioni umane, rompendo gli schemi scolastici, favorendo i rapporti interpersonali, superando i pregiudizi e rivelando le risorse altre di ognuno. I ragazzi coltivando l’orto hanno l’opportunità di scoprire la dimensione dell’attesa, parola quasi sconosciuta dai ragazzi, che insegna la pazienza, e la sintonia con le categorie spazio e tempo che in natura non corrono ma scorrono. Molti ragazzi recuperano speranza e ipotizzano nuovi percorsi e progetti per il loro futuro di contadini contemporanei. In un momento come questo, di crisi e di precarietà una scuola che realizza orti appare come una forma di resistenza contro l’omologazione dei gusti, si proprio come quelli proposti da Coca Cola o Mc Donald’s, che qualche “genio” ha pensato di porre invece a modello dell’Expo. So che è un processo lento e faticoso, conclude la preside, ma sento che la scuola è un’istituzione che più di tutte può stimolare i giovani a intraprendere strade differenti, lontane dallo sviluppo e dal progresso ma verso esistenze più sane ed umane. Un anno fa abbiamo avuto la fortuna di ospitare una conferenza di Jairo Restrepo Rivera, che ci ha sedotto parlandoci di agricoltura organica. Alla fine del suo discorso ha detto che una “escuelita asì puede cambiar el mundo”.

Fausto Cavalli

Agronomo esperto di agricoltura, energie rinnovabili, economia e politica