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Agroalimentare italiano? Non pervenuto

L’industria agroalimentare è considerata da tutti il vero “gioiellino” dell’industria italiana. E’ fortemente esposta ai consumi nostrani, ma anche sempre più votata all’export (Russia permettendo…). Le 55 mila imprese attive nel settore sono in gran parte di piccole dimensioni e, se va sempre peggio la domanda interna, hanno cercato di compensare con un aumentato delle esportazioni. Secondo comparto manifatturiero del Paese, con 127 miliardi di fatturato e circa 390 mila addetti (10% della manifattura), l’industria alimentare costituisce, assieme alla moda, l’emblema dell’italian way of living. Secondo l’indice delle eccellenze competitive dell’Italia stilato dalla Fondazione Edison, il nostro Paese detiene la prima posizione nell’export mondiale di pasta (1,8 miliardi di dollari), la seconda nell’export di vini (3,9 miliardi di dollari), la terza nell’export di cioccolata e di altre preparazioni alimentari contenenti cacao (890 milioni di dollari). Tutto bello quindi, forse non proprio!

Nonostante i processi di concentrazione avvenuti tra la metà degli anni ‘80 ed i primi anni ‘90, l’industria alimentare italiana continua così ad essere connotata da grande frammentarietà e così l’impronta manageriale delle imprese e soprattutto i rapporti di forza con le potenti centrali di acquisto della grande distribuzione organizzata non ne favoriscono certo un ulteriore solido sviluppo. In realtà, nel mondo, 10 signori da soli controllano più del 70% dei piatti del pianeta. Peccato che questi “signori” non siano italiani e dell’Italia o dell’italian livin end food non gli interessi nulla se non a livello d’immagine, al più. Ecco di seguito un interessante approfondimento sul tema da parte di Carlo Petrini Slowfood: http://www.slowfood.it/10-signori-da-soli-controllano-piu-del-70-per-cento-dei-piatti-del-pianeta-e-noi-dove-eravamo/.VKrqgM681TQ.facebook

Fausto Cavalli

 

Agronomo esperto di agricoltura, energie rinnovabili, economia e politica